PHILIP GLASS - Parole senza musica • La mia vita
La vita, l’opera e le iniziazioni progressive di un genio nelle sue stesse parole, «senza musica» soltanto per discrezione e pudore, poiché l’autobiografia di Philip Glass è in realtà un assolo che percorre una sinfonia di mondi, volti, nomi, storie. Dall’infanzia nella Baltimora del dopoguerra agli anni dell’università a Chicago, dagli esperimenti alla Juilliard al primo viaggio a Parigi per studiare con Nadia Boulanger sugli spartiti dei grandi classici, fino al leggendario viaggio in India e all’elaborazione del minimalismo, di cui diviene il capofila insieme a Steve Reich, trionfando con la strepitosa prima di Einstein on the Beach nel 1976: questo memoriale, sorprendentemente condotto con la sicurezza stilistica di uno scrittore affermato, racconta la trasformazione di un talento musicale in erba in compositore di fama mondiale. Glass rievoca i suoi maestri, l’eterogeneità di una formazione a tutto tondo e gli apprendistati in un’epoca ricca di contrasti e di improvvise impennate estetiche, ricostruendo i luoghi che contribuirono a formare la sua coscienza artistica: la formazione tra Pop Art e Beat Generation, lo yoga e l’incontro con la figura straordinaria del mahatma Gandhi; i matrimoni, le separazioni, i lutti, resi con una grazia che emoziona e commuove; la dura esperienza sulle strade newyorkesi negli anni settanta, quando il compositore lavora senza posa come traslocatore, tassista e idraulico di giorno, mentre la sera propone la sua musica in qualche loft underground o galleria d’arte, tenacemente determinato a perseguire un nuovo tipo di sintassi musicale; e ovviamente i successi, i trionfi, le cadute e le riprese, in un vorticare di nomi ed eventi da età dell’oro.
Questo digesto esistenziale è soprattutto la reinterpretazione di un’opera che acquista la propria centralità in forza della meticolosa costruzione di un nuovo vocabolario linguistico, di una ricerca differente del tempo musicale, delle risorse timbriche, di un differente approccio alla forma, al ritmo, alla percezione dell’ascolto. Le continue accumulazioni metriche di Music in Twelve Parts,
le esplorazioni di Another Look at Harmony, le caleidoscopiche invenzioni timbriche in pagine organistiche come Dance o Mad Rush sono tutti gradini che compongono un’ampia scala, grazie alla quale Glass ha rivoluzionato dalle fondamenta la musica degli ultimi cinquant’anni.
La prosa del Glass scrittore è all’altezza della sua musica: apparentemente semplice e senza pretese «letterarie», in realtà di fattura raffinata, sia che parli delle numerosissime collaborazioni con Allen Ginsberg, Ravi Shankar, Robert Wilson, Doris Lessing, Martin Scorsese, sia che descriva i viaggi in Oriente, sempre contraddistinti da una grande curiosità per le multiformi espressioni dell’umano: Parole senza musica rivela tutta la capacità affabulatoria del compositore che, quasi da solo, ha forgiato il suono dominante del secondo Novecento. I suoi ricordi, sottilmente modulati sulla pagina come una partitura, permettono ai lettori di rivivere ottant’anni di euforia creativa, e di assistere al momento miracoloso in cui avviene, riuscita e gloriosa, l’osmosi totale tra vita e arte.
«Philip Glass ha scritto un avvincente racconto della sua vita, con ricordi della famiglia, dei maestri e degli amici. Dall'infanzia a Baltimora allo studio con Ravi Shankar e Nadia Boulanger, fino alle collaborazioni con Robert Wilson, Allen Ginsberg, Godfrey Reggio e Martin Scorsese, Glass ci affida la sua musica e le sue vicende personali. Parole senza musica è un piacere da leggere, non solo per i musicisti (che l'apprezzeranno in modo particolare) ma per chiunque sia affascinato dal mondo dell'arte.» Paul Simon
Copertina flessibile, 401 pagine